S.C. Ivo Borghetti

10 agosto 1942: una assolata mattinata estiva di un anno di guerra, il sommergibile italiano Scirè sta navigando in immersione a sei miglia da Haifa, diretto a quella rada per un attacco al porto in cui sono dodici navi mercantili e undici da guerra nemiche (due incrociatori, quattro cacciatorpediniere, cinque corvette). L’operazione è denominata S.L.1 ed il sommergibile è attrezzato per il lancio dei “maiali”, speciali siluri a lenta corsa, lunghi sette metri con cinquantatre centimetri di diametro, manovrati da due uomini e pilotati sott’acqua a trenta metri di profondità.

Ad un tratto, in quel 10 agosto 1942, qualcosa del piano non funzione: la vedetta “Islay” con un sofisticato ecoscandaglio sonoro, da poco inventato, ha avvertito la presenza del sommergibile italiano ed allora inizia l’inferno del lancio di bombe di profondità.

Lo Scirè, colpito, è costretto a risalire in superficie e subito diventa bersaglio delle batterie costiere che lo affondano in pochi minuti. Ed in pochi minuti è deciso per sempre il destino di cinquantotto uomini: i corpi di due di essi sono ritrovati dagli inglesi alcuni giorni dopo, sono il Capitano Ch’ersi ed il secondo capo Del Ben, i due uomini-civetta (così si chiamano in gergo militare i primi ad uscire dal sommergibile per dare assistenza ai piloti dei maiali); gli altri cinquantasei giacciono sul fondo marino, chiusi nella loro bara d’acciaio.

Fra essi un lericino: Ivo Borghetti. Era nato il 10 dicembre 1922 e gli avevano imposto i nomi di Ivo Giovanni. Il 10 agosto 1942 compiva dunque esattamente diciannove anni e otto mesi, soltanto altri due marinai dello Scirè erano più giovani di Ivo, gli altri tutti di maggiore età.

Si era arruolato volontario, aveva conseguito i brevetti di radiotelegrafista e idrofonista, era stato promosso sottocapo e per la sua specializzazione era stato chiamato nel sommergibile. Era intelligente, vivace e precoce e da ragazzo aveva ottenuto buon successo nei primi anni di studio; poi ne aveva perduto la voglia.

Ricordo quando eravamo in classe assieme al “Da Passano” della Spezia: sua madre gli diceva ogni giorno: mettiti a fare i compiti ed egli rispondeva invariabilmente: non ne ho. Allora la buona signora Irma si prese l’impegno di venire ogni sera a casa mia per ricopiare dal mio diario scolastico le assegnazioni dei compiti e delle lezioni per il giorno dopo.

Ivo era un ragazzo allegro, scherzoso e faceto. Era spassoso e perciò era un piacere stare in sua compagnia. Dal padre Desiderio, navigante, che tutti chiamavano familiarmente “Deio”, aveva ereditato il senso dell’umorismo, dello scherzo, della burla. Si era arruolato con la spensieratezza e il gusto dell’avventura dei suoi quasi vent’anni. Prima di partire per l’ultimo suo viaggio, aveva rincuorato sua madre: “Stai tranquilla, ritornerò presto…” e l’aveva baciata e salutata “come sapeva fare lui, senza lacrime e senza drammi”, così racconta suo fratello Mauro. Poi per tutta la famiglia non c’era stata che l’attesa, la terribile, silenziosa, angosciosa attesa: prima quella del ritorno, poi quella dei poveri resti. Purtroppo entrambe senza esito.

Infatti un brutto giorno il signor Aldo Mancini, allora impiegato comunale, chiamò Mauro, che era un ragazzo dodicenne, consegnandogli un biglietto e dicendogli: “non darlo a tua madre e non dirle nulla, consegnalo stasera a tuo padre”. Mauro capì e così fece, aspettando il ritorno del padre dal cantiere di Muggiano dove lavorava. Così lesse la disperazione ed il dolore negli occhi di suo padre che raccomandò di non fare parola con la mamma, la quale seppe della disgrazia il giorno dopo.

Terminata la guerra, cominciò l’attesa della salma. Nel 1960 una missione della marina Militare cercò di recuperare il relitto, ma rinunciò poco dopo per il rischio di far esplodere un siluro ancora innescato; nel 1963 tentò una impresa privata, ma fallì poco dopo. All’inizio del 1984, in conseguenza della pubblicazione di un servizio in una rivista della Marina Militare Israeliana si fece un gran parlare sui giornali, si intervistarono Ufficiali, Ammiragli, sommergibilisti, palombari e vi furono interrogazioni parlamentari al Ministro della Difesa.

Alcuni pensavano che la miglior tomba per un marinaio fosse il mare, altri che nello Scirè non ci fosse più nulla da recuperare. La famiglia Borghetti ha aspettato invano i poveri resti di Ivo; il padre se ne è andato nel 1962, la madre nel 1974, “essa ha sempre atteso, fino alla fine, almeno i resti di mio fratello”, dice Mauro con il nodo alla gola.

Il Gruppo lericino della Associazione Nazionale Marinai d’Italia, che porta il nome di Ivo Borghetti e di cui è presidente onorario l’ing. Gustavo Stefanini, ha donato alla famiglia, in un cofanetto con medaglia e targa d’argento, un frammento dello scafo dello Scirè, certo la madre avrebbe voluto una tomba su cui far cadere le sue lacrime, recitare le sue preghiere, deporre i suoi fiori, accendere un flebile e tremulo lucignolo. Ma queste cose non sono concesse ai Caduti del Mare.

Ricordo di Ivo Borghetti del Prof. Piero Colotto – pubblicato sul numero 5 – Anno XV 1986 – de “Il Golfo dei Poeti” Periodico del Circolo Culturale “G. Petriccioli” di Lerici.